



PADOVA - MUSEO DIOCESANO
MOSTRA IL CANOVA MAI VISTO
2025 - in corso
Pensare al progetto di allestimento per la mostra Il Canova mai visto ci ha posto di fronte a due obiettivi: tenere insieme serie di elementi eterogenei che hanno come filo conduttore le attività di Antonio Canova e integrare l’esposizione in un contesto architettonico e artistico di altissimo pregio quale il Palazzo Vescovile di Padova. L’esposizione temporanea introduce così una seconda narrazione oltre a quella permanente ma non da questa indipendente: fra i busti e gli stemmi che campeggiano in Sala Barbarigo e le volte affrescate della Sala dei Vescovi, si riconoscono alcuni personaggi che partecipano anche alla nostra storia. È proprio fra le stanze del Seminario Vescovile che nel ‘700 si sviluppano e intrecciano le relazioni che portano alla donazione di alcune delle collezioni esposte.
La mostra si annuncia al visitatore con una grande quinta introduttiva che si staglia all’ingresso di Sala Barbarigo. Oltre questa prima imposizione, gli elementi dell’allestimento restano riconoscibili e distinguibili nella loro semplicità formale e nella sobria continuità cromatica e la loro disposizione preserva interamente la fruizione degli apparati decorativi storici che affollano le sale del Palazzo.
Pur cercando un’identità autonoma rispetto al contesto in cui si inserisce, l’allestimento è chiamato a confrontarsi con alcuni dei sui abitanti. I protagonisti di questa sala sono Giambattista Sartori-Canova, riconosciuto fra i busti a parete che ci osservano dall’alto e poi richiamato da un tuttotondo, e mons. Modesto Farina, il cui ritratto è sceso per l’occasione dalla sala dei Vescovi dove è usualmente conservato. Sono queste le due personalità che instaurano i rapporti che alimentano negli anni le collezioni del seminario vescovile con opere, scritti e medaglie. Gli oggetti esposti nella sala raccontano le loro personalità e l’attività di custodia e conservazione del patrimonio artistico che li lega. Lo storico monetiere del seminario è posto al centro, fra le due figure, a corredo una serie di teche, giustapposte a suggerire il percorso, espongono alcune monete originali della collezione, i documenti manoscritti di catalogazione e alcuni volumi a testimoniare un approccio collezionistico scientifico, metodo e strumento di conoscenza profonda di tutti gli aspetti storico-iconografici presenti nell’opera di Antonio Canova.
Accanto alle testimonianze numismatiche viene presentata una selezione delle opere della collezione Manfredini. Si tratta di dieci stampe di opere realizzate dalla bottega canoviana, testimonianza della componente promozionale divulgativa dell’opera del Canova.
Il percorso espositivo prosegue nella sala dei Vescovi: le opere in mostra trovano posto nel grande spazio della sala organizzando il vuoto centrale dove si vuole portare l’attenzione del visitatore. Lo spazio è libero e il percorso espositivo viene solo suggerito da alcuni elementi: volumi sintetici, autonomi fisicamente e visivamente rispetto al contesto. È qui che si sviluppa il cuore della mostra, attorno ad un’urna funeraria ad opera di Antonio Canova, esposta per la prima volta dopo il suo ritrovamento. L’urna viene realizzata in onore della defunta Louise von Callenberg, musicista di rilievo europeo con importanti amicizie, come testimonia la storia del monumento funebre a lei dedicato. Per commemorarla furono infatti chiamate illustri personalità dell’epoca: progetto architettonico dell’architetto Gianantonio Selva, sculture minori del noto artigiano scultore veneziano Domenico Fadiga, scultura dell’urna con profilo a bassorilievo di Antonio Canova. Alla struttura della composizione architettonico-scultorea, si sovrappone un livello testuale con iscrizioni a rilievo della lapide e dediche ad incisione sulla base di candelabre. Fra i contributi degli amici più cari spicca quello del poeta Goethe, inciso sul cippo di sostegno dell’urna.
Originariamente collocato alle spalle dell’abside della Chiesa degli Eremitani, il monumento, è stato distrutto a seguito del bombardamento dell’11 Marzo del 1944. Della composizione originaria sono stati rinvenuti e conservati solo singoli elementi che nei decenni successivi furono custoditi da diverse istituzioni cittadine, fu persa memoria delle loro orgini e della configurazione con cui si presentavano. La ricomposizione del monumento funebre di Luise von Callenberg ha pertanto richiesto una specifica attività di ricerca e di studio. Le uniche fonti storiche a noi pervenute sono alcune foto antecedenti al 1944 che ritraggono solo parzialmente il monumento funebre e varie appassionate descrizioni dei testimoni che lo hanno visitato nei suoi due secoli di vita. Altra fonte fondamentale sono state le tavole del progetto originario del Selva, che, per quanto dissimile da quello realizzato presenta già gli elementi e le relazioni fondamentali che caratterizzano la sua stesura definitiva. A partire dai reperti noti, appositamente restaurati per questa mostra, abbiamo ricavato i riferimenti dimensionali certi per poter analizzare le foto storiche e comprendere appieno forma e collocazione dell’intero sistema. La scala metrica in piedi parigini riportata sulle tavole del progetto ha fornito ulteriori indicazioni sulle dimensioni previste e soprattutto sui rapporti fra gli elementi della composizione: lapide, candelabre, urna, cipresso.
L’allestimento mette in scena il complesso in scala reale collocando gli elementi originali recuperati nelle loro posizioni; per consentire di apprezzare l'articolazione della composizione e dei rapporti reciproci fra gli elementi, le lacune sono state integrate con elementi frutto di uno studio di sintesi formale che richiamano le sculture originali senza, tuttavia, imitarle. La piastra di base, così come il cordolo rialzato insieme alla quinta di fondo, definiscono lo spazio e forniscono il supporto agli elementi. Il cipresso, rappresentato nel progetto del Selva, posto all’interno del recinto, costituisce a tutti gli effetti un elemento della composizione: la sua presenza è richiamata nel sistema di allestimento da un’opera dell’artista Valeria Carmignan.
Le generose dimensioni della sala hanno consentito di riprodurre un frammento urbano storico offrendo al visitatore una prospettiva analoga alla concezione originaria. L’approccio al monumento era laterale, da un cancello aperto sulla pubblica via si accedeva allo spazio recintato dietro l’abside della chiesa degli Eremitani e la vista del monumento era apparentemente completa: in realtà da nessuna posizione era possibile avere una visione di tutti gli elementi; il visitatore per apprezzare compiutamente le single parti e l’insieme veniva accompagnato in un percorso contemplativo e celebrativo nello spazio e nel tempo. Gli elementi principali: lapide, urna e cipresso sono allineati lungo l’unico asse di simmetria che organizza la composizione e recintati da un sistema discreto costituito da sette candelabre e disposto lungo un cordolo che limita e guida il movimento del visitatore. L’assenza di un chiaro punto di vista privilegiato è forzata dall’interposizione del cipresso fra lo sguardo del visitatore che volesse ammirare la simmetria della composizione. Si crea così la sensazione di assistere ad un dialogo interno, intimo e antico, dove chi osserva fatica a trovare posto ed è continuamente spinto a muoversi, a cercare e a interrogare il racconto corale a cui assiste.